Spesso mi interrogo su cosa sia la guarigione. Forse perché è la più grande domanda che mi portano le persone che incontro nel mio lavoro.Il processo di guarigione è un incessante divenire, una costruzione quotidiana. Si palesa a me, nitidamente, la fotografia di una montagna della quale scorgo le sue infinite salite e relative discese.È una costante tensione tra lo schiudersi e il dischiudersi, tra il pieno e il vuoto. In un processo di guarigione si oscilla tra il rumore caotico dell’esterno e il silenzio assordante dell’interno.Ci si sente leggeri e poi di nuovo pesanti, trascinati giù negli abissi del passato.A volte, ad agire, è la nostra parte guarita, risvegliata e vigile, altre quella vecchia, spesso arrabbiata, triste, soffocata dallo scuro lenzuolo che è la depressione. Ci si sente stanchi là sotto, tanto da non credere di potercela fare oltre.E poi di nuovo la luce, ancora una volta allineati, in equilibrio, comodi.Quest’epoca di finta New Age, dell’abuso del pensiero positivo, della guarigione permanente in 7 giorni o, peggio, in una sola giornata, dell’ “andrà tutto bene”, ha bisogno, forse, solo di verità. E di umiltà. Non basta immaginare una vita felice per attrarre a Sè l’abbondanza, se prima non abbiamo sostato negli abissi dei nostri vuoti affettivi. Perché immaginare ricchezza, non avendo prima guarito le nostre memorie di povertà non farà che manifestarne ancora e ancora.E se la guarigione fosse spazio? Fosse imparare a fare spazio?Spazio dentro e fuori. Spazio di ascolto autentico. Osservazione distante e presente.Guarigione come spazio in cui si smette di fare come accaniti consumatori, per Essere. Semplicemente essere.Essere pienamente umani nella nostra umana vulnerabilità del cuore.
Marika Lovecchio, Psicologa e Naturopata Infantile
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