Quello del consolare è un atto che ha a che fare sempre con la narrazione personale o con quella altrui. Intrinseca ad esso è la ricerca del significato della sofferenza del cuore che ha bisogno di parole che, come fiammelle vadano amorevolmente ad illuminare la comprensione profonda e autentica. Invece, in questo tempo storico in particolare, mi sembra di osservare, sul web e nella vita reale, quanto la consolazione venga sempre più confusa con atti che deviano da questa come quelli del compiangere, anestetizzare o proiettare. Compiangere un cuore che soffre può, talvolta, essere utile per empatizzare con l’afflizione dell’altro, ma in agguato vi è il pericolo di vittimizzarlo. Il dolore va indubbiamente accolto, mai negato o peggio banalizzato, ma la sua esasperazione rischia di congelare sempre più chi sta soffrendo nella posizione di vittima che, per una logica precisa, avrà poi bisogno di un carnefice e di un salvatore per trovare (apparente) soluzione. La vittimizzazione è quel meccanismo per cui, una volta innescato, incastra la persona in un narcisismo sedativo e confortevole che rallenta il cammino verso nuove direzioni. Il vittimismo, quindi, non consola realmente nessuno. Anche la narcotizzazione dei cuori, è fortemente presente nella nostra epoca. Si tenta di consolare l’altro, distraendolo. Talvolta, spostare momentaneamente l’attenzione dal dolore aiuta a ritrovare presenza e lucidità, ma far ciò abitualmente porta all’alienazione, è una spinta alla superficialità perché rimandare continuamente i problemi significa solo aggravarli. Ritornano, implacabili, e, spesso, con una sovrattassa: il dilaniante senso di incapacità per non averli ancora affrontati. Anestetizzare anziché consolare, rende la sofferenza sempre più cara.
Altra deriva dell’atto del consolare è quello della proiezione, ovvero invitare chi soffre a guardare chi sta peggio come se esistesse una gerarchia del dolore. Tutti noi, abbiamo fatto esperienza di qualcuno che ha tentato di consolarci paragonando il nostro dolore ad uno ben peggiore e sono quasi sicura nell’affermare che nessuno si sia mai sentito realmente consolato da ciò.Il meccanismo della proiezione, per la sua biologia e psicologia, fa sprofondare in un non senso ancora maggiore perché sfoca gravemente i propri confini personali. Poiché c’è qualcuno che sta più male di me, devo assolutamente impegnarmi a star bene. E così il recupero di uno stato di benessere personale diventa l’ennesimo dovere al quale assolvere.Quella del consolare, è una vera e propria opera d’arte, richiede equilibrio tra i colori e le forme, ovvero un’attenzione sostenuta al fine di evitare sia la vittimizzazione, ma anche l’alienazione e il paragone tra sofferenze. Queste modalità sono i residui in parte di una religiosità dogmatica e in parte di quella spiritualità New Age dove, l’azione consolatoria non sembra essere poi così lontana da un rimprovero perché il buon vecchio senso di colpa non passa mai di moda. Una vera consolazione invece, non usa parole ipocrite, retoriche o eccessivamente sentimentali.È capace di donare gli strumenti necessari per vivere un tempo di crisi e tormento. Immagino la consolazione come un rifugio di montagna, al quale si arriva dopo aver attraversato delle fatiche: un luogo caldo, dove si è inebriati dal profumo delle cose buone fatte in case che immediatamente fa sentire ristorati. Chi compie l’atto del consolare si deve sedere accanto a chi soffre, pulirgli le lenti degli occhiali affinché possa vedere meglio e aprire il suo cuore, il suo sguardo e il suo spirito ad un’altra prospettiva, restituendo fiducia che non ha assolutamente a che fare con quel, spesso eccessivo, bonario positivismo anch’esso oggi tanto diffuso. Per saper consolare davvero, è fondamentale recuperare dalla propria memoria personale, l’esser stato consolato e il sentire di aver trasformato, almeno in parte, la propria sofferenza in qualcosa di più grande. Indicare una strada che non si conosce, è difficile e si rischia di trasformare la consolazione in un’opera di improvvisazione tarocca.
Dott.ssa Marika Lovacchio Psicologa e Naturopata infantile
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